Storia

Sua maestà la launedda

In quasi tutti i brani musicali sardi spicca una sonorità che rimanda un po' a quella delle zampogne, ma occhio a non confondersi. Si tratta della launedda, strumento fatto con canne palustri suonate con la tecnica del 'fiato continuo'.

Come è fatta Per costruire una launedda con tutti i crismi bisogna utilizzare solo canne palustri tagliate durante il plenilunio di febbraio e poi messe a 'stagionare' per almeno tre anni. Il suo inconfondibile suono è prodotto grazie a tre canne di lunghezza e spessore differenti, tenute insieme da uno spago incerato e poste in vibrazione da un’ancia di lamina di canna. La canna più lunga è chiamata 'tumbu' e fornisce solo la tonica, quella centrale è soprannominata la 'mancosa manna' e da la quinta tonica e le quattro note seguenti e ascendenti, mentre l'ultima (detta 'destrina' o 'mancosedda') serve per produrre le note della melodia. Le launeddas possono essere di vari tipi: 'Fiorassiu', 'Fiuda','Mediana', 'Punt' e’organu' e 'Spinellu'.

La scuola di Villaputzu Quella nata a Villaputzu alla metà del 1800 è una delle 'scuole' di launeddas più celebri della Sardegna insieme a quelle del Sinis, della Trexenta e del Campidano. Da qui sono usciti alcuni dei suonatori più virtuosi di questo strumento: da Agostino Vacca ad Antonio Lara, da Efisio Melis a Peppino Cabras e Aurelio Porcu. Tutti scomparsi, in alcuni casi da quasi centenari, ma solo dopo aver lasciato il loro patrimonio di sapere ad altri musicisti, che ancora oggi portano avanti lo studio e la diffusione delle launeddas. Fra loro ci sono Gianfranco Mascia, Giancarlo Seu, Salvatore Trebini e Andrea Pisu, che ha portato la sua maestria in diversi festival italiani ed esteri, aprendosi a contaminazioni il jazz, il blues e la world music.

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